Un Ragazzo d'oro

Morandini Film Distribution

TITOLI
Originale
Un Ragazzo d'oro
deutsch
français
italiano

DATA D'INIZIO
Svizzera
20.11.2014
Svizzera tedesca
Svizzera romanda
Ticino
20.11.2014
NUMERO DI VISITATORI

Il numero di visitatori elencati rappresenta ciò che è stato riportato e registrato per questo film a partire dalla data di uscita.

Svizzera
41
Svizzera tedesca
Svizzera romanda
Ticino
41

CAST & CREW
Regia
Pupi Avati
Produttore
Soggettista
Musica
Raphael Gualazzi
Attore
Sharon Stone
Riccardo Scamarcio
Cristiana Capotondi
Giovanna Ralli
L'ETÀ D'ACCESSO

Dall’1.1.2013, tutti i film proiettati pubblicamente nei cinematografi sono classificati per categorie d’età dalla "Commissione svizzera del film e della tutela dei giovani". L’età indicata ("Permesso a partire da") esprime il fatto che, a partire da quell’età, la visione del film non dovrebbe comportare alcun danno per un bambino/giovane. Un bambino/giovane che ha raggiunto tale età può dunque vedere il film da solo. Se egli è accompagnato da una persona detentrice dell’autorità parentale, tale soglia d’età può essere ridotta al massimo di due anni (ad esempio, "permesso a partire da 10 anni" significa che l’interessato che ha raggiunto tale soglia d’età potrà accedere da solo alla visione, mentre un interessato che ha raggiunto gli 8 anni d’età potrà accedervi solo se accompagnato da una persona detentrice dell’autorità parentale.
"Consigliato a partire da" significa che un bambino/giovane è in grado comprendere il contenuto del film a partire da quell’età.
Ulteriori informazioni all’indirizzo: filmrating.ch

L'età legale
16
Età consigliata
-

CONTENUTO

Davide Bias scrive racconti brevi e conta i passi che lo separano dall'alienazione. Uno stato di disagio persistente che reprime con gli psicofarmaci e gestisce con una fidanzata confusa e un lavoro da creativo in un'agenzia pubblicitaria. Figlio di Achille Bias, uno sceneggiatore di B movie, Davide non riesce a doppiare suo padre, che muore all'improvviso in un incidente automobilistico. L'avvocato dell'assicurazione, chiamato a indagare sulla dinamica della sciagura, è convinto che si tratti di suicidio. La dichiarazione getta nello sconforto Davide che adesso vuole capire chi sia l'uomo che ha passato la vita ad odiare. La ricerca senza freni e farmaci lo porterà alla verità e al tracollo emotivo.
Non è facile riconoscere i doni lasciati in eredità dai padri, trasformare in patrimonio la loro acqua di colonia, come il protagonista di Avati, o il pennello da barba, come nel romanzo più dolente di Philip Roth. Con uno sguardo ancora una volta rivolto agli affetti del tempo che fu, Pupi Avati realizza l'ennesimo e nostalgico scavo nel passato. Quello di un ragazzo d'oro che attraverso la contemplazione di suo padre approda alla scoperta di se stesso. Se il soggetto, quello del giusto erede che riesce ad apprezzare e a impossessarsi in modo autentico dell'eredità paterna, possiede un indubbio potenziale, la sua realizzazione è didascalica, farcita di simboli facili e di product placement, traboccante di massime e sentenze pronunciate in modo innaturale dagli attori. Non c'è intimismo nel modo di raccontare di Avati, il suo spazio narrativo è interamente esteriore eppure incapace di applicarsi ai corpi degli interpreti, ridotti come Sharon Stone a essere 'marchio' all'interno delle scene, una griffe annoverata tra un succo di frutta e una 500L.
Un ragazzo d'oro è un film che nega qualsiasi prospettiva interna, lasciando che i suoi personaggi navighino a vista sulla superficie e all'oscuro delle loro motivazione più recondite. Col rispetto che si deve all'autore emiliano e alla sua filmografia di buon rilievo spettacolare ed espressivo, di bonaria ironia e di spunti autobiografici, il cinema di Avati accusa da qualche tempo uno smarrimento e una perdita di poeticità. Perdita che impedisce la discesa a un livello più profondo e sottrae rilievo alla forma e al contenuto. Le nevrosi e gli attriti incarnati da Riccardo Scamarcio sono inerti, inadeguati a rappresentare anche un pensiero, un modo di stare al mondo, un'espressione dell'uomo.
Non c'è altezza in Un ragazzo d'oro, non c'è la trasformazione teorica in discorso filmico, in linguaggio umano. I personaggi in scena sono legati da copione ma slegati nella logica. Combinati in fase di scrittura dallo stesso Avati, sullo schermo sono sprovvisti di trattazione, incapaci di dare forma definitiva e consequenzialità alle proprie esistenze. Alla maniera de La cena per farli conoscere, Un ragazzo d'oro intreccia la riflessione sull'eclissi della paternità nel mondo contemporaneo e la denuncia delle patologie prodotte dalla società dello spettacolo. Se ieri a incarnare la disfunzione era Sandro Lanza, attore mediocre e vecchia star dei film di Corbucci che sognava di lavorare con Germi, oggi è uno sceneggiatore frustrato, a cui riesce il suicidio fallito dal Lanza di Abatantuono.
Ma se lì la regia di Avati era classica ed efficace, qui colpisce per la sua inconcludenza. L'incedere da fiction e gli attori che sembrano leggere le battute invece di recitarle fanno il resto: un cinema che incolla frammenti di realtà sulle note sovrastimate di Raphael Gualazzi. Un cinema che come il suo protagonista implode, non ha voglia di rinascere e di lasciarsi alle spalle memorie dolorose.


IMMAGINI


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